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note geologiche dei Monti Sibillini

Note geologiche ed idrogeologiche di: Monte Piantangeli e delle aree limitrofe

di Carmine Allocca

 

 

Figura 1 Carta Geologica dei Monti della Tolfa (1972) - Mem. Soc. Geol. It., 11 scala 1 : 50.000 rilevata da Fazzini P., Gelmini R & Pellegrini M.

Figura 1 Carta Geologica dei Monti della Tolfa (1972) - Mem. Soc. Geol. It., 11 scala 1 : 50.000 rilevata da Fazzini P., Gelmini R & Pellegrini M.

L’escursione si svolgerà principalmente su due differenti litologie:

La geologia dell’area è molto complessa e articolata, per avere un’idea, troviamo litologie di ambiente sedimentario che vengono poi distorte e rotte dal vulcanismo impostatosi nella zona, che si manifesta sotto forma di domi lavici; che in alcune zone vengono a giorno, mostrando una morfologia più aspra del territorio circostante, mentre in altre si limitano a sollevarla rimanendo sotto forma di cripto domi.

I domi lavici

Le geometrie dei corpi lavici ed i loro rapporti con le facies sedimentarie fanno ritenere che il magmatismo si sia sviluppato soprattutto sotto forma di criptodomi che causa un sollevamento generalizzato tra i 200 ed i 400m. La messa in posto dei domi lavici si verifica nel corso del Pliocene superiore. L’evoluzione di questo settore è da considerarsi di transizione tra la provincia magmatica “toscana” e quella “comagmatica romana”. La gran parte delle vulcaniti tolfetane è costituita da rilievi tolfetani concentrati principalmente nell’area di Tolfa e della Tolfaccia oltre che dai dicchi e manifestazioni ipoabissaliche presenti a S di Allumiere. I corpi domici si presentano coalescenti, probabilmente per mezzo di un controllo tettonico di fratture ad orientamento regionale; anche se attraverso il loro studio non si riesce a ricostruire precisi allineamenti. Nell’area di Tolfa è possibile individuare una massa unica, mentre altri corpi più piccoli come quello di Tolfaccia o della Montagnola; tutti i corpi sono costituti da lave a struttura da ipocristallina a vetrosa che mostrano una sostanziale omogeneità composizionale. Non sono poi mai state osservate facies associate ad ignimbriti (come brecce basali, pomici da ricaduta, accumuli di cineriti), generalmente in tutta l’area tolfetana non vengono rinvenute le facies esplosive che dovrebbero accompagnare lo sviluppo dei domi. Il profilo morfologico dell’area e la posizione delle facies plioceniche ci suggeriscono che la messa in posto delle vulcaniti di Tolfa abbia generato il sollevamento dei sedimenti soprastanti, dopo essersi intruso in ambiente quasi sub superficiale. Questa ipotesi è avallata da alcuni sondaggi effettuati per l’esplorazione mineraria, nel settore ad E di Tolfa le argille del pliocene si rinvengono a quote superiori, rispetto a quelle che dovrebbero avere, considerando le giaciture con le altre fasi sedimentarie pre - neogeniche; presentando giaciture discordanti anche con quelle rilevate nel resto dell’area. Nella medesima area gli affioramenti lavici sono evidenti sul fondo delle maggiori incisioni vallive, a quote inferiori rispetto a quelle di affioramento dei sedimenti argillosi. È possibile quindi ipotizzare che le argille siano appoggiate al margine orientale del corpo lavico principale. A tale riprova il domo de la Montagnola conserva al tetto ancora intatto, anche se fortemente metamorfosato, un lembo di argille. Ed ancora in località il Sassetto blocchi di argille del pliocene superiore coinvolte nel processo di risalita a giorno delle lave. Dai rilievi gravimetrici lungo un profilo attraverso il Monte Sassetto, risulta la possibilità che le vulcaniti affioranti si estendano in profondità in un'unica massa che dovrebbe collegarsi a quella dell’area di Tolfa ed è a sostegno dell’ipotesi della presenza di uno o più corpi sub superficiali al di sotto di tutta l’area tolfetana (De Rita et alii, 1997).

Figura 2 Veduta panoramica dei domi intorno Cencelle Foto di Carmine Allocca (archivio Zis)

Figura 2 Veduta panoramica dei domi intorno Cencelle Foto di Carmine Allocca (archivio Zis)

La Tettonica

L’assetto tettonico dei Monti della Tolfa va ricercato nel sommarsi di più fasi tettoniche principali sviluppatesi con differenti modalità e tempi. Si possono riconoscere tre fasi principali:

  1. I) La prima, in cui abbiamo il sovrascorrimento dell’alloctono sul complesso basale, che è stato accompagnato dal piegamento e dal dislocamento della copertura, avvenuti tra l’Oligocene (età del tetto del complesso basale) ed il Miocene (età del semiautoctono); fino ad arrivare ad un sollevamento generale miocenico - superiore (Tortoniano).
  2. II) La seconda, contraddistinta da una tettonica rigida, distensiva, che conduce all’individualizzazione di bacini nei quali si manifesterà la trasgressione pliocenica, con alternanza di movimenti positivi e negativi, che condizionano la sedimentazione neoautoctona.
  3. III) La terza, è legata ad un ulteriore sollevamento dell’area, imputabile alle principali manifestazioni magmatiche della regione. Questo sollevamento venne influenzato anche dalle direttrici tettoniche preesistenti.

 

 

Figura 3 Il Bacino idrografico del Fiume Mignone (Della Seta et alii, 2006)

Figura 3 Il Bacino idrografico del Fiume Mignone (Della Seta et alii, 2006)

 

Considerazioni idrogeologiche fiume Mignone

Il bacino del Mignone (500 km2 ca., quota media 250 m s.l.m.), è compreso tra quello del Marta, del Tevere e dell’Arrone ed altri minori è esteso per il 38% su flysch alloctoni tolfetani che uniti con le formazioni terrigene plio - pleistoceniche (20%) si comportano come un substrato impermeabile per i depositi vulcanici attribuibili ai complessi tolfetano e sabatino (30,5%), ai depositi conglomeratici a matrice sabbiosa (4,8%) ed alle coltri alluvionali più o meno permeabili. Le colture costituiscono la copertura vegetale principale del suolo (43,3%), pascoli (21%) e colture miste (2,6%) mentre i vari tipi di boschi ricoprono complessivamente il 20% del territorio. Relazionando la distribuzione degli affioramenti, l’andamento delle isofreatiche regionali e le informazioni provenienti da sondaggi meccanici e geofisici, il bacino imbrifero del Mignone risulta coincidente con quello idrogeologico, senza scambi rilevanti con i settori limitrofi. Quattro anni di rilevamenti idrogeologici (dal 1979 al 1982) ad opera del Sevizio Idrografico mostrano che mediamente nell’anno si riversa sul bacino una lama d’acqua di 865 mm. Dal bilancio idrologico risulta che il 20% di quanto affluito defluisce come ruscellamento senza subire infiltrazione, mentre permane un deficit di deflusso del 78,5%. Il 70% di quanto trattenuto in superficie evapotraspira, mentre l’8,5% si infiltra alimentando la falda di base, che rende perenne il deflusso anche nei mesi asciutti. Le aree di alimentazione della falda sono concentrate nelle formazioni permeabili (vulcaniti, conglomerati, sabbie, alluvioni e travertini) che risultano meno estese (42%) di quelle impermeabili (Unità flyschoidi alloctone, argille, argille sabbiose, limi e sabbie fini) (58,0%). Le vulcaniti affiorano soprattutto nell’alto bacino, le risorse idriche e le aree di alimentazione risultano concentrate in questo settore, inciso da assi fluviali quasi sempre drenati.

 

Figura 4 Guado del fiume Mignone nel periodo estivo con il deflusso di base del corso d'acqua ridotto al minimo (Foto di Carmine Allocca)

Figura 4 Guado del fiume Mignone nel periodo estivo con il deflusso di base del corso d'acqua ridotto al minimo (Foto di Carmine Allocca)

 

 

Esaminando le principali caratteristiche è possibile affermare che tutta l’area è soggetta a fenomeni erosivi molto intensi che localmente diventano spinti. I più evidenti sono quelli imputabili alle acque correnti superficiali; tale azione si esplica direttamente attraverso l’asportazione del suolo ad opera delle acque dilavanti ed indirettamente attraverso l’approfondimento delle acque incanalate, che spesso genera fenomeni di scalzamento alla base dei versanti. L’azione delle acque dilavanti è concentrata nel tratto intermedio del bacino idrografico; in un area che comprende oltre all’area drenata direttamente dal F. Mignone, anche i bacini del Fosso Lenta, del Fosso Verginese e del Torrente Vesca. In quest’area l’azione delle acque superficiali si somma ai processi gravitativi del tipo del soliflusso e delle deformazioni plastiche. Comunque per comprendere le cause scatenanti dei fenomeni di dissesto, vanno considerate le particolari condizioni pluviometriche. Infatti nell’area esaminata le precipitazioni medie annue risultano elevate: sono infatti superiori al valore medio del territorio nazionale, mostrando una distribuzione irregolare nell’arco dell’anno. L’alternarsi di periodi di siccità con periodi di precipitazione, anche intense, generano un rapido imbibizione del suolo facilitando la sua asportazione. Oltre ai fattori litologici e climatici, fattori predisponenti di dissesto, vanno considerate le cause legate all’azione dell’uomo sul territorio, che risultano marcate nell’area. Il disboscamento riduce il grado di protezione del suolo e parallelamente incrementano l’azione erosiva delle acque dilavanti. Inoltre le coltivazioni e l’eccessiva pressione di pascolo favoriscono l’asportazione meccanica della parte più superficiale del suolo. Infine per la stabilità dei versanti risultano dannosi alcuni manufatti, come tagli stradali, trincee e cave che molto spesso compromettono l’equilibrio naturale dei pendii. Gli studi condotti hanno evidenziato come il Fiume Mignone presenti un regime estremamente variabile; questo determina nel bacino la possibilità di rischi da piena anche accentuati; specialmente nella bassa e nella media valle, dove sono diffusi i litotipi più impermeabili e dove le condizioni morfologiche sono più favorevoli. Negli ultimi decenni sono stati registrati frequenti casi di esondazione, con danni più o meno gravi: ai manufatti della rete viaria, alle attrezzature agricole ed alla zootecnia. Dall’analisi degli annali risulta che la portata di piena al colmo, supera frequentemente i 100 m3/sec quindi è possibile stimare che a Ponte Aurelia il fiume arrivi con portate più che doppie, essendo il basso bacino aperto prevalentemente su formazioni impermeabili. Và ricordata l’alluvione dell’ottobre 1981 che fece stimare all’Aurelia una portata di 700 m3/sec. Infine è possibile evidenziare come le risorse idriche legate al serbatoio geotermico profondo siano attualmente sfruttate solo per il turismo termale dei Bagni di Stigliano. La riserva geotermica esistente nell’area, pur essendo inadatta per gli usi elettrici (temperatura media inferiore a 130°) potrebbe essere utilizzata per una vasta gamma di usi civili, agricoli e industriali.

Curiosità sulla storia e sugli utilizzi dell’allume

“Giovanni non aprì bocca; il suo volto esprimeva ineffabile gaudio; i suoi occhi splendevano come due neri brillanti. In silenzio, ei cacciò la mano nel tino: parve a tutti che ne stropicciasse con forza le pareti, se giudicar doveasi dal movimento del suo braccio. Poscia ne trasse fuori un gruppo di sostanza cristallizzata, dalle molte facce ottaedre, diafana, rilucente, e posta da lui là dove entrava un raggio obliquo di sole comparve a tutti quasi prismatica. Giovanni non disse nulla, per brevi istanti guardò e riguardò il pezzo di allumite cristallizzato. Poi, vinto dalla foga di un’indole passionata, che nell’esuberanza di affetti seguiva sempre il primo slancio di cuore, si coprì la testa, pose un ginocchio a terra, e rese grazie a Dio, che guidato avealo alle terre di Tolfa.”.

 

Figura 5 Stazione Abbandonata della ferrovia di Allumiere (foto di Carmine Allocca dall'archivio Zis)

Figura 5 Stazione Abbandonata della ferrovia di Allumiere (foto di Carmine Allocca dall'archivio Zis)

 

L’alunite

L'alunite deriva da rocce vulcaniche ricche di alluminio, si forma per azione dei vapori vulcanici sui feldspati, è possibile incontrarla in vene. E' classificato come un solfato: per l'esattezza è un doppio solfato di alluminio e potassio.

 

Figura 6 Alunite, miniera S. Barbara, Allumiere. Cristallo mm 1,5.Coll. e foto L. Mattei. (da http://www.gminromano.it/Cercapietre/rivista06/testo/06A05.html)

Figura 6 Alunite, miniera S. Barbara, Allumiere. Cristallo mm 1,5.Coll. e foto L. Mattei. (da http://www.gminromano.it/Cercapietre/rivista06/testo/06A05.html)

L'alunite si forma in cristalli di dimensioni di alcuni millimetri: unico caso al mondo è quello dei Monti della Tolfa, le cui dimensioni arrivano anche oltre il centimetro. Dall'alunite, mediante la sua lavorazione in forni, si ottiene l'allume. In passato, l'allume era molto importante ed insostituibile nelle industrie tessili (come fissatore per colori e la lavorazione della lana), nella realizzazione delle stampe su pergamena, nella lavorazione delle pelli (nelle fasi di conciatura), nella produzione del vetro e in medicina (come emostatico).  

Figura 7 Allume utilizzato spesso per la rasatura.

Figura 7 Allume utilizzato spesso per la rasatura.

 

I giacimenti dei Monti della Tolfa, furono definiti nel 1500 come la più importante industria mineraria europea: ancora oggi, malgrado la cessata attività, sono riportati sui testi del settore anche a livello internazionale. L'allume, nel medioevo, era uno dei prodotti più commercializzati: veniva importato principalmente dalla Turchia, Siria ed Egitto.

Le nostre fonti: